di Alessandra Giuliana Granata
Secondo un’intuizione di Alexander Dumas, la realtà non è altro che il chiodo al quale viene appesa la letteratura. Così chi racconta, come un abile prestigiatore, fonde verità e inganno fino a rendere indefinibili i confini che separano l’una dall’altro. Il successo dell’opera dipenderà dalla sua capacità di soggiogare il pubblico. Se, pur intuendo di trovarsi davanti a un’illusione facilmente smascherabile, esso non opporrà resistenza, quasi desiderando di venire irretito, il narratore sarà riuscito nel suo intento.
È molto più di un libro sulla Shoah Il pugile polacco (Rubbettino editore, pagg 122, euro 12,00) dello scrittore guatemalteco Eduardo Halfon. L’opera trae linfa da un ebraismo serenamente rinnegato che continua a schiantarsi contro il Muro nero di Auschwitz. Come il profeta biblico Giona, Halfon tenta invano di sfuggire alla sua sorte, ma la storia del generoso pugile polacco che aveva salvato la vita del nonno, non smette di avere una risonanza particolare nel suo cuore e lo tormenta, pretendendo di essere scritta.
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Il nonno di Eduardo aveva tatuato il numero di telefono sull’avambraccio sinistro per non dimenticarlo. Aveva già dimenticato tante cose, insieme alla lingua madre. Non aveva più detto una sola parola in polacco, da quando era finita la guerra. L’aveva rinnegato insieme con i compatrioti che l’avevano tradito. Non pronunciava mai neanche le parole che gli avevano procurato la sopravvivenza. Mentre già nel blocco numero 11 di Auschwitz aspettava la morte, un uomo – un pugile – nel buio di quella notte senza speranza, gli aveva sussurrato le risposte da dare ai carcerieri tedeschi perché avesse salva la vita. Molti anni dopo, quando le cifre verdi avevano cominciato a ingrigire con lui, aveva raccontato al nipote il senso feroce di quel numero. Soltanto le parole del pugile polacco continuavano a restare tenacemente rinchiuse nel suo animo. Eduardo, insegnante di letteratura comparata, ha presto preso le distanze dalle sue origini e dalla religione. Insegnando in una classe di universitari svogliati, viene colpito dall’anima profonda di uno studente, Juan Kalel, giovane poeta dalle umili origini e dall’espressione fragile di roseto avvizzito. Sulla guancia di Kalel, la cicatrice lasciata forse da un colpo di machete riporta Halfon al Muro nero di Auschwitz. Sarà soltanto il primo degli svariati episodi che condurranno il professore ebreo cosmopolita in un lungo viaggio. Ma lì, accanto a lui, tra i poveri dell’America Latina o nei grandiosi scenari degli States, sosta sempre l’ombra di un pugile polacco senza nome e senza volto che in una notte lontana e disperata aveva pronunciato parole di salvezza.
Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi
Non di rado accade che eventi particolarmente dolorosi fecondino l’anima di chi ha potuto superarli. Spesso accade anche che la grazia di avere la vita risparmiata segni un, seppur simbolico, passaggio da una fine certa a una nuova esistenza che ha il sapore della resurrezione. Coloro che hanno il talento della scrittura – come accadde a Fedor Dostoevskij e a Primo Levi – hanno esternato nelle loro opere il grido di dolore di chi, trovandosi faccia a faccia con la morte, l’ha evitata e ha avuto voce per raccontarlo. Ma non di rado accade che quegli stessi eventi molto dolorosi annientino l’anima inchiodandola a terra. E allora si preferisce seppellire quel che è stato, lasciando che il tormento imploda, non avendo parole che possano esprimerlo. Nell’Angelo letterario, prima opera di Halfon pubblicata in Italia, l’autore fa spesso cenno all’amato nonno materno. Osservando quanta parte egli abbia avuto nella formazione del nipote, ci si chiede chi sarebbe stato Eduardo Halfon senza l’esempio di generosità incarnato dal pugile polacco. Nel primo racconto, Halfon diventa il “pugile polacco” di Juan Kalel. Anche in quel caso non ha importanza conoscere le parole che il professore aveva rivolto al ragazzo, perché il silenzio ha sortito l’effetto che deve.
Il pugile polacco è un libro sorprendente che nasconde, sotto l’apparenza di silloge di racconti, un delicato, ma frizzante romanzo dalla trama unitaria e aperta ad ampliamenti che – sostiene il suo autore – non finiranno mai finché lui sarà in vita.