di Maria Pirozzi
Compagno, io non ti volevo uccidere. Se tu saltassi fuori un’altra volta qua dentro io non ti ucciderei purché anche tu fossi ragionevole. Ma prima tu per me eri solo un’idea, una formula di concetti nel mio cervello che determinava quella risoluzione. Io ho pugnalato questa formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me. Allora pensai alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi, ora vedo la tua donna, il tuo volto… Perdonami compagno, noi vediamo queste cose sempre troppo tardi… perché non ci hanno mai detto che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come per noi le nostre, e che abbiamo lo stesso terrore e la stessa morte e lo stesso patire… perdonami compagno perché se gettassimo via queste armi potresti essere mio fratello. Prenditi vent’anni della mia vita compagno, perché io non so che cosa ne potrò mai fare.
Questo commovente quanto intenso passo è tratto da Niente di nuovo sul fronte occidentale, romanzo in cui lo scrittore Eric Maria Remarque racconta la sua personale esperienza di soldato tedesco nel corso della Prima Guerra Mondiale. Qui il giovane protagonista trova riparo in una buca formatasi in seguito all’esplosione di una granata. È proprio in quello spazio angusto che il soldato vivrà un’esperienza sconvolgente: quella che Emmanuel Levinas filosofo ebreo-francese del Novecento avrebbe chiamato l’incontro del Volto dell’Altro. Ma cosa intende Levinas per Volto? Il Volto è il modo concreto con cui l’Altro si presenta a me, entra con me in un relazione del tutto eccezionale.
Scrive Levinas in una delle sue opere principali, Totalità e Infinito: «Noi chiamiamo Volto il modo con cui si presenta l’Altro a me…questo modo non consiste nell’assumere, di fronte al mio sguardo, la figura di un tema, nel mostrarsi come un insieme di qualità che formano un’immagine. Il Volto dell’Altro distrugge ad ogni istante e oltrepassa l’immagine plastica che mi lascia nella mia mente».
La specialissima concezione del Volto, che Levinas propone tende dunque a distinguere il Volto stesso sia dai suoi lineamenti, che posso oggettivare riportandoli a categorie generali (ad esempio il colore dei suoi occhi, la forma del suo viso etc.), sia dalle qualifiche con cui s’inserisce nella trama di relazioni del mio mondo oggettivo (ad esempio i suoi dati anagrafici, la sua professione etc.). Possiamo dunque affermare che il Volto è proprio quella presenza viva dell’Altro che costantemente mette in crisi o disfa le varie forme con cui tendo a farlo rientrare nel già noto, nelle mie categorie di pensiero.
La relazione con l’Altro è perciò non-sapere, stupore, in quanto non si costituisce come l’opera di soggetto che ne dà il senso, bensì è prima di tutto un Interlocutore, prima ed indipendentemente da qualsiasi sistema di riferimento. Certamente il Volto ha a che fare con l’Altro, ma precisamente in quanto è ciò che rimane dell’Altro una volta esauriti tutti i rimandi al mondo esterno. Ecco perché il Volto non è segno, ma il turbamento stesso della logica di ogni ordine razionale. Il Volto in quanto unicità è infatti ciò che rimane dell’altro una volta esauriti tutti i riferimenti a cui l’Altro è necessariamente sottoposto.
La descrizione della relazione con il Volto è però anche quella che ha preparato il terreno per caratterizzare più a fondo la natura di tale relazione, ovvero per metterne in evidenza l’originale struttura etica. Questo passaggio è comprensibile tramite la nozione di nudità del Volto. La nudità del Volto è espressione di povertà per cui fin dalle origini la parola che l’Altro mi rivolge è appello etico, comando. Egli si presenta nella sua debolezza più spoglia, più povera e più vulnerabile. Ecco perché, secondo Levinas, la scoperta della mia responsabilità è l’inizio di ogni conoscenza in generale, poiché ogni conoscenza deve essere purificata dalla sua tendenza naturale all’egocentrismo, tipica della civiltà occidentale. Dal momento che esiste l’Altro il potere dell’Io si scopre sottomesso alla responsabilità per l’Altro. Attualizzando il discorso possiamo affermare che è proprio sull’egocentrismo cui Levinas fa riferimento che dovremmo fare i conti specie in questa società ipertecnologica dove il Soggetto è solo apparentemente interessato all’Altro (basti pensare ai numerosi commenti ai messaggi che ognuno riceve sui famosi social networks), mentre in realtà è interessato principalmente al soddisfacimento dei propri interessi e sembra non avere mai né il tempo né la voglia d’impegnarsi in una Relazione autentica con l’Altro.