di Alexandra Antunes
«Sotto la luna, in un vecchio capannone abbandonato, i bambini dormono». La notte è caduta su Salvador. Vicino al molo, un deposito di mercanzie per l’imbarco è l’unico posto che i Capitani della Spiaggia possono chiamare casa. E ogni ragazzino può vedere solo negli altri quello che corrisponde, vagamente, alla nozione di famiglia.
Nel 1937 lo scrittore brasiliano Jorge Amado (1912-2001) usa le parole di un romanzo, Capitani della spiaggia (Capitães da areia) appunto, per aprire una finestra sul suo paese: oltre il mare di Bahia c’è un paese dove un popolo lotta contro le differenze sociali, mostrando una forte necessità di cambiamento. Questa provocazione letteraria porta l’autore in prigione e i suoi libri al rogo sulla piazza pubblica.
Attraverso il gruppo dei Capitani della Spiaggia, Jorge Amado trasforma dei ragazzini orfani abbandonati, che si danno al crimine perché non hanno altra alternativa, in eroi. In una epopea che eleva chi, per le circostanze della vita, è obbligato a crescere troppo in fretta, c’è spazio per tutti i tipi di bambino. Pedro Bala è il leader del gruppo e come un padre influenza tutti; Volta Seca non si pone altro obiettivo che quello di voler continuare a vivere nel crimine; Professor è innamorato dei libri e del disegno; Gato è un rubacuori incorreggibile; Boa-Vida vuole soltanto ballare la samba e divertirsi. Sem-Pernas (ossia Senzagambe) approfitta del suo handicap per fare grandi rapine e Dora, la ragazza che si unisce al gruppo, è la figura materna per eccellenza. E tanti altri – anche se non ne viene fatto il nome – sono quelli che, come questi bambini, vagano nella città di Salvador con la speranza di riprendersi quello che è stato loro sottratto.
Ogni «Notte della Grande Pace» è una fine e un inizio per questi ragazzi che hanno «una stella laddove c’è il loro cuore». Non si sa mai cosa il giorno seguente potrà portare. Una volta è una epidemia di vaiolo che devasta la popolazione, un’altra la polizia che persegue con più zelo chi pratica atti criminosi, oppure i piani delle rapine non vanno come previsto, o le rivolte del porto causano problemi ai manifestanti. È questo trambusto che Jorge Amado vuole gridare. È come se dicesse: «Guardate a noi!», vuole mostrare un Brasile che non vive solo di calore e di ritmi movimentati. La vita dei Capitani della Spiaggia assomiglia a una giostra che arriva in città: ci si può fare un giro e divertirsi, ma intorno cambia poco o niente.
Si dice che la lingua portoghese, quando è scritta dall’altra parte dell’oceano, assume una melodia differente. E anche le parole danzano sulla carta in modo diverso – sembra che si muovano a ritmo di samba davanti a noi, in un vocabolario talvolta sconosciuto a quelli che non parlano portoghese del Brasile. Jorge Amado, con una scrittura fluida e naturale, a volte persino cruda, racconta una storia con colore, accogliente per chi legge, anche se dura per i protagonisti. Le avventure dei Capitani, nelle spiagge e nelle strade della città, tra fughe dalla responsabilità e rese all’amore clandestino e irresponsabile, ci raggiungono in modo mite, con immagini allo stesso tempo belle e crudeli, che toccano il cuore.
Jorge Amado ha vinto la censura. Ha spento il rogo che divorava i suoi libri. Le parole di un giovane brasiliano di 25 anni sono arrivate fino a noi e riescono ancora a cambiare delle vite. E se in un viaggio in Brasile riusciremo forse a trovare l’eco di questi bambini scalzi e sporchi del libro di Amado, vorrà dire che ci ricorderemo che c’è sempre qualcosa che nel mondo va ancora cambiato.
* Traduzione di Luca Onesti.