di Alessandra Giuliana Granata
(giurata Premio Strega 2015)
Suscita da sempre molto scontento, eppure – e potete accorgervene leggendo il bisogno che in molti hanno di sviscerare le scelte dei giudici – il Premio Strega richiama ancora con fascino immutato, perché, anche se si sente dire da ogni parte che non streghi più, il premio ammalia, eccome! Ma non sembra che sia quello di conquistare i lettori e di diffondere libri di alta qualità l’obiettivo di Casa Bellonci: favorendo le case editrici più importanti e costringendo i lettori a “subire” il premio, sembra volersi tenere sempre a debita distanza dalla gente.
Non vogliamo parlarvi del romanzo di Nicola Lagioia o del delicatissimo Chi manda le onde, vincitore dello Strega giovani; noi vogliamo parlarvi degli altri libri selezionati per contendersi il premio perché li abbiamo letti tutti e l’abbiamo fatto dal punto di vista privilegiato del giurato che ha preso l’esperienza a questo Strega con grande entusiasmo.
Dovete sapere che il vero protagonista del Premio Strega è, da sempre, non il vincitore ma il Gobbo di Peretola. Narra il segnalibro omaggiato ai giurati da Casa Bellonci che questo povero gobbo aveva un amico altrettanto deforme d’aspetto. Un giorno lo vede tornare dritto e risanato dopo aver ballato con le streghe di Benevento che ne avevano premiato la grazia nella danza. Così decide di recarsi a sua volta dalle streghe, partecipa allo stesso sabba al quale aveva partecipato l’amico ma, a causa dei suoi movimenti sgraziati, viene rispedito a casa con sul groppone la sua vecchia gobba e in omaggio quella del gobbo sanato! Ecco, al Premio Strega – che deve il suo nome alle streghe della leggenda – accade l’opposto: chi scrive con grazia torna a casa ingobbito, mentre chi scrive in maniera meno aggraziata va in cinquina a testa alta mantenendo una postura che desterebbe l’invidia di un étoile.
Nell’iniziare a parlarvi dei libri esclusi confessiamo che, quando abbiamo visto in fondo al nostro pacco Come donna innamorata di Marco Santagata, da innamorati di Dante sin dalla prima infanzia, non abbiamo dormito per una notte intera tant’erano la gioia e il desiderio di leggere un romanzo che esaltasse il genio del Sommo per il suo settecentocinquantesimo compleanno! Già pregustavamo di accedere all’area riservata e di dedicare il prezioso quarto d’ora di tempo concessoci al voto per Santagata! Ma in quel fatale giorno, chiuso il libro, ci aggiravamo con sul volto una tale disperazione da farci chiedere da chiunque ci incrociasse se qualcuno ci avesse fatto qualcosa di male. Certo! Quel “qualcuno” era il professor Marco Santagata! perché mai romanzo fu più mortificante – in stile e contenuto – per il padre della Lingua italiana. La ricetta è semplice: prendete il Sommo, levategli il genio, la levatura morale, lo spirito battagliero, l’amore per Dio e per Beatrice e l’ardore politico. Prendete il bamboccione esangue che ne rimane, fatene un bestemmiatore fallito che vivacchia da perdigiorno a Bologna e avrete non soltanto ridotto a uno zerbino un mostro sacro, ma ottenuto una buona imitazione del capolavoro di Santagata. Quarto classificato al Premio Strega 2015. Non dimenticate, però, di condire il tutto con qualche inesattezza storica! Nel romanzo di Santagata, Dante, bandito, si prepara per abbandonare Firenze (abbiamo scoperto proprio nel mese dedicato alla maratona letteraria dello Strega che non è certo che Dante fosse a Roma) e rivolge un pensiero al caro Guido Cavalcanti. «Se Guido fosse vivo – dice il sommo bamboccione – sarebbe stato esiliato anch’egli!». Ma Dante stesso – e Santagata lo ricorda nelle pagine successive, quindi non è una rivisitazione – aveva da priore di Firenze bandito Cavalcanti che, in esilio e in quello stesso anno, era poi morto!
Invece avevamo guardato con noncuranza la bella copertina del Genio dell’abbandono di Wanda Marasco, senza aspettarci che il capolavoro che ci avrebbe conquistati sin dall’incipit si nascondesse dietro lo sguardo folle da Re Lear del Vincenzo Gemito raffigurato in copertina. Un romanzo del quale è difficile parlare perché isolandola, ogni frase di questo capolavoro è un bozzetto, ogni pagina è intrisa di pura poesia. La potenza narrativa di Wanda Marasco evoca una Napoli appena conquistata dai Savoia che accoglie e avvolge completamente chi legge stregandolo con i suoi colori, i suoi odori, con la storia tragicomica e avvincente del grande scultore.
Dopo aver letto il romanzo di Wanda Marasco, nostro solo scopo era diventato quello di trovare altri due libri che fossero degni di figurargli accanto in cinquina. E la ricerca si è fatta ardua. A parte l’originalissimo Dimentica il mio nome, romanzo a fumetti di Zerocalcare che però delude un po’ nell’improbabile climax, o il complesso Paese dei Coppoloni di Vinicio Capossela, forse più nelle corde di chi conosce a fondo la sua musica, nessuno fra i romanzi, neanche il pur originale Final Cut di Vins Gallico, sembravano degni di stare accanto a quello che – ne siamo certi – diventerà uno dei capolavori immortali della letteratura italiana.
Così abbiamo scelto, insieme al Paese dei Coppoloni che ci ricordava un po’ lo strano viaggio di Cicicov nelle Anime Morte di Gogol’, di votare il pur a tratti autocelebrativo Via Ripetta 155 della sessantottina Clara Sereni. Non è il solito romanzo sugli Anni di Piombo, Via Ripetta 155, ma il racconto autobiografico di una ragazza presto emancipatasi in quegli anni gravidi, raccontato con levità e freschezza.
Da amanti dei romanzi fiume ottocenteschi, avevamo guardato con una smorfia lo scarno XXI Secolo di Paolo Zardi che non sfiora neanche le 200 pagine, eppure l’autore racconta con bravura magistrale una crisi di coppia in cui il tradimento viene scoperto da un marito mentre sua moglie giace in coma in un letto d’ospedale. L’antieroe protagonista di questa vicenda affronta da solo il suo dramma senza la possibilità di avere un confronto, senza riuscire a venire a capo della vicenda, attraversando le fasi di incredulità, dolore e frustrazione pur continuando a prendersi cura dell’amata moglie inerme.
Se mi cerchi non ci sono di Marina Mazzei, proposto da Umberto Eco, merita un cenno per via del curioso rebus che si cela nel suo titolo e che offre una chiave di lettura interessantissima del romanzo. Al funerale di un professore, si ritrova la sua famiglia allargata, pochi amici ed un’ex allieva / io narrante che, alla lettura del testamento, crede che il suo professore – che aveva a lungo amato – non abbia avuto neanche un pensiero per lei.
La silloge del secondo classificato Mauro Covacich non ci è piaciuta. Abbiamo trovato qualche nota commovente e originale nel racconto che apre la raccolta dedicato a Pippa Bacca, ma il resto del libro non offre, a nostro avviso, altri spunti degni di nota.
Di Elena Ferrante si è parlato forse un po’ troppo. Non siamo sicuri che non le abbiano in fondo nuociuto le trame ordite da Roberto Saviano e la mobilitazione di Francesco Piccolo il quale, teniamo a dirvi, sarà fra gli autori dello sceneggiato che si trarrà dalla quadrilogia dell’Amica Geniale.
Comunque, letti e votati i libri, la sera del 10 giugno noi eravamo pronti davanti alla diretta in streaming da Casa Bellonci. Ci eravamo preparati all’evento con due ciotole di pop corn, dolcetti assortiti e macedonia macerata rigorosamente e doverosamente nel liquore Strega che non avremmo mangiato perché i pop corn ci sarebbero presto andati di traverso! Mentre il conduttore intervistava uno per uno i semifinalisti presenti, Francesco Piccolo si occupava dello spoglio dei voti come un presidente di seggio nei paesini sperduti di 300 abitanti si occupa di quell’evento memorabile che è l’elezione a sindaco. Di tanto in tanto la voce di Piccolo giungeva ai nostri orecchi inorriditi scandendo: «Genovesi, Covacich, Santagata… Genovesi, Genovesi…» con grave pericolo per le nostre coronarie. Ma il nostro cuore sembrava essersi ripreso e quella sera diede 93 battiti udendo pronunciare :«Marasco, Marasco…». Avevamo ripreso colore, sperando che quei 93 voti sarebbero diventati presto 100… 120! Invece il destino ci è precipitato addosso: era passata! Quella che, nel più tetro dei pronostici, avevamo definito “la cinquina nera” era passata! Spenta la diretta, delusi e amareggiati, abbiamo infine pienamente compreso perché per tutti lo Strega è il premio in cui vincono “le case editrici e non gli scrittori”.