di Annalisa Vecchio
Lo chiamano reboot, ed è l’ultima tendenza della narrazione hollywoodiana. Si tratta di ri-narrare, con l’aggiunta di elementi nuovi, un mito, o meglio un archetipo più o meno radicato nel nostro immaginario. Si potrebbe definire anche riciclo, di miti classici assemblati ad elementi moderni. Una irriverente mise en abîme di cultura alta e cultura di massa. Sono reboot Maleficent, Into the woods, ma anche gli ultimi Spiderman (mito contemporaneo già cultura di massa), o il televisivo Sherlock, forse il più riuscito – e non a caso prodotto dalla BBC che dopo il grande decennio della fiction di qualità statunitense (Sopranos, Desperate housewives) targate HBO, e la tormentata vicenda di Mad Man (AMC), con poche ma riuscitissime produzioni ha battuto in qualità i colossi televisivi americani.
Qualche anno fa si sarebbe parlato di postmoderno, l’etichetta attribuita ad ogni forma artistica che esprimesse la crisi del mondo contemporaneo: dall’orinatoio di Duchamp alla Transavanguardia di Bonito Oliva. Non sarebbe del tutto corretto però, perché al pastiche postmoderno è mancato il mito oltre la storia, che è la novità delle nuove narrazioni. Reboot è il passato che ritorna, ma spregiudicatamente viene privato della storia che lo ha prodotto, ed è riadattato al gusto contemporaneo. Ed ecco che Sherlock, tenendo fede alla passione scientifica dell’originale di Conan Doyle, usa il Gps e internet; mentre la strega di Biancaneve, in Maleficent, diventa protagonista e si trasforma in una dark lady, vittima delle più moderne psicosi e insicurezze.
Il reboot ha così mandato in soffitta, cinematograficamente, il ricorso al passato come segno della crisi della modernità. Ma se in Blade Runner, simbolo cinematografico del post moderno, tutto era proiettato in un futuro certo, il 2019, come fu anche per 1997 fuga da New York di John Carpenter, nelle produzioni degli ultimi anni la storia non è presente, non è futura ma il racconto è in un passato non identificabile, trans-storico. L’età vittoriana di Sherlock, come il medioevo di Maleficent, sono dei grandi assenti: in scena è la fuga dalla storia, quella con la S maiuscola. Come fu in Pasolini, che alla ricerca continua del sacro, metaforicamente soppresso nel corpo dei suoi «ragazzi di vita» (Accattone, Mamma Roma, La ricotta), dalla letteratura al cinema rifiutò il mondo contemporaneo, rifugiandosi nel mito. Pasolini così riscrisse Medea, Giasone ed Edipo per sancire definitivamente la sua rinuncia a un rapporto pacificato con il suo tempo.
Pasolini anticipatore delle più moderne tecniche di narrazione? Forse sì. O forse no. Potremmo alla fine anche scoprire che il reboot altro non è se non un modo trendy per ridefinire la classica pratica della ri-narrazione.