di Giuseppe Avigliano
Il Portogallo, quella lingua di terra stretta all’estremo occidente della penisola iberica, è storicamente un luogo di partenze. Da lì, Vasco da Gama partì per circumnavigare l’Africa ed arrivare in India alla fine del quindicesimo secolo. A Lisbona il Monumento dos descobrimentos si protende sul fiume Tago, fino a guardare all’Atlantico, tronfio degli scopritori che lo sovrastano e che tanto hanno contribuito a ridisegnare mappe e confini nel corso della storia.
Daniele Coltrinari e Luca Onesti, quel monumento lo conoscono bene. A Lisbona ci vivono già da molti anni. La loro curiosità intellettuale li ha portati a collaborare con testate giornalistiche e programmi televisivi, in veste di freelancers. Solo pochi mesi fa hanno prodotto un documentario, Lisbon Storie – Storie di Italiani a Lisbona, che è un’eccezionale testimonianza dell’emigrazione italiana in terra lusitana.
C’era una volta in Portogallo è probabilmente il loro progetto più antico. Quello al quale lavoravano, inconsciamente, fin dai loro primi giorni portoghesi. Per parlare di questo libro e restituirne la ricchezza è necessario, innanzi tutto, parlare di ciò che questo libro non è.
Non è un libro sul ciclismo
È bellissimo il corridore con bandierina che morde la strada sullo sfondo giallo della copertina[1]. Di bici ce ne sono molte, in questo libro. E di corse, anche. Una in particolare offre la strada e il pretesto per raccontare storie ed aneddoti. È la Volta a Portugal, il corrispettivo del nostro Giro d’Italia. Tutto inizia in un grande ufficio al settimo piano di un palazzo. È la sede dell’Organizzazione della Volta e due giovani dal portoghese incerto sono in cerca di un accredito per poter seguire la Volta. Il coraggio di chi non ha nulla da perdere e una fortunata chiacchierata consegnerà loro la possibilità di seguire l’evento sportivo in prima fila, accanto ai protagonisti. È il 2013. La loro prima Volta.
Così entrano nel libro – li si vede sfrecciare, li si insegue – ciclistici storici e attuali. Da Chagas, oggi telecronista della Volta a Victor Gamito che a 44 anni mette in discussione i dogmi di una cultura (?) sportiva che celebra solo i corpi giovani e perfetti e ha bisogno di far sentire tutti gli altri inadeguati. Passando per Joaquim Agostinho, meglio conosciuto come Tinò, che durante la guerra in Mozambico stupisce il suo capitano per la velocità con la quale consegna i messaggi in bici e al ritorno in Portogallo si mette a correre da professionista e arriva a vincere tre Voltas consecutive.
Una corsa storica, come la Volta, che mobilita una nazione intera, spingendo oltre sette milioni di persone a scendere in strada, è fonte inesauribile di storie, nelle quali Daniele e Luca ci accompagnano con la saggezza dei narratori. Come quella volta in cui tre corridori in fuga, sotto il temporale, non si resero conto di aver superato il traguardo e gridavano alle persone che gli venivano incontro di lasciarli continuare. O come le pagine dedicate alla “Tappa regina”, con arrivo a Alto da Torre, dove un re fece costruire una torre di sette metri per permettere alla montagna, con i suoi 1993 metri di altitudine, di toccare la soglia dei 2000 metri.
Non è una guida turistica
Da Alto da Torre, lungo le campagne e le città minori, in bici, chiedendo passaggi, con treni in seconda classe e autobus dal motore singhiozzante, Daniele e Luca girano il Portogallo e lo vivono, prendendosi gioco di itinerari turistici, orari prestabiliti e cerimoniali vari. Li troviamo al traguardo di una tappa con ore di anticipo, tra le persone a bere vinho verde, la sera a tirare a tardi in osterie e luoghi di ritrovo, e il giorno successivo già pronti a ripartire con lo zaino in spalla. Li osserviamo entrare in sala stampa vestiti da ciclisti, superando i sorrisi nascosti dei colleghi impomatati nei loro abiti impeccabili. Così dal 2013 a oggi, la Volta si rinnova per loro come un’occasione di riscoperta di questo paese tanto affascinante quanto di un momento di riscoperta di sé stessi. È un’esperienza lavorativa, un viaggio intellettuale, un momento di goliardia. Gli anni passano, i posti ritornano, e gli incontri si rinnovano. Come la misteriosa Cecilia, ciclista argentina che Daniele non smetterà mai di sognare nel corso degli anni.
Una Volta, tante ancora!
Questo libro è la somma di tutto ciò che non è, e in quanto tale è un libro che fugge le catalogazioni, per aspirare al piacere del racconto puro, all’allegra complessità del mondo. Così a pag. 63 troverete il vecchio di una poesia di Camões che tenta di distogliere i marinai in partenza per la prima spedizione per le Indie, come proprio i pessimisti distolgono dalle avventure. A pag. 87 incontrerete il regista di un vecchio film portoghese, Quell’amato mese di Agosto, mentre inveisce contro il fonico che lascia corrompere i suoni delle riprese con le canzoni di Tony Carreira o José Cid. A pag. 121 c’è la storia di due amanti medievali, Iněs de Castro e Dom Pedro che tanto somigliano ai nostri Paolo e Francesca.
Giorgio Manganelli lo diceva chiaro, al ragazzo che si iscriveva a Lettere perché sognava di fare lo scrittore: Che ci fai qui – diceva pressappoco allo stesso modo – vuoi fare lo scrittore? Iscriviti a Biologia, piuttosto. Non immagini quante metafore nasconda la biologia!
Questo libro è così: parla di ciclismo, ma non è un libro di ciclismo. Potrebbe essere usato come una guida turistica, ma non lo è. Funziona un po’ come per il consiglio di Manganelli: chi si appresta a leggerlo ne uscirà con tanto di ciò che andava cercando e con tantissimo altro che nemmeno avrebbe immaginato di trovare.
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[1] Disegno e grafica di copertina sono di Giorgio Alfonsi
* C’era una Volta in Portogallo è un libro di Tuga Edizioni
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