di Rosario D’Andrea
Ormai era giunta la partenza, andavo via dal rifugio Bonatti , dopo aver salutato le nuove amicizie dei giorni passati. Rivolgevo un saluto anche alle cime appuntite delle montagne, arrivando con lo sguardo alla compattezza del Monte Bianco carico della sua neve. L’aria con i suoi 5 gradi era ancora fredda della passata notte, dove la leggera luce della luna disegnava la sagoma delle montagne e le stelle come gocce rimanevano a formare le costellazioni. Mi avviavo a proseguire il mio pellegrinare verso altre destinazioni, lasciando di spalle il rifugio in direzione degli alberi.
Nel bosco andavo carico dei miei zaini, aiutandomi con il bastone, scendendo per il sentiero verso valle, con un dislivello di trecento metri e sforzando le gambe senza rischiare di mettere il piede su una pietra o inciampare tra qualche radice. Il pensiero di rotolare con tutto il bagaglio mi preoccupava un po’. Ricordavo che a un certo punto il percorso si faceva più largo e un po’ pianeggiante. Pensavo ai miei scarponi, i quali, data la veneranda età di venti anni, avevano deciso di lasciare l’attività del camminare.
Li avevo comprati da ragazzo, con la voglia di fare lunghe escursioni. Il giorno prima ero intento a proseguire il sentiero Tour Mont Blanc, verso il rifugio Elena, quando incominciavo a sentire qualcosa di strano al piede destro. La suola dello scarpone si stava staccando, impedendomi di proseguire con un passo regolare. Ora cosa si fa? – pensavo. L’unico modo, per far sì che non si staccasse del tutto, era di legarla con i lacci stessi dello scarpone facendole fare il giro al di sotto della suola. Quindi, era il momento di ritornare al rifugio, accompagnato da un rumore simile ad uno zoccolo, dove per fortuna avevo un altro paio di scarpe.
Proseguendo per il fondo valle, assorto tra gli alberi di abete, pensavo quindi di dare degna sepoltura a quegli scarponi che mi avevano accompagnato per una parte della mia vita. A un certo punto del percorso, c’era un grande masso piatto nella parte superiore. Tolsi lo zaino, cercai nelle vicinanze dei sassi abbastanza grandi da formare un cerchio sopra la superficie del masso. Staccai l’altra suola e adagiai gli scarponi nell’anello di sassi che avevo appena costruito.
Man mano che li coprivo di sassi, mi tornavano in mente ricordi del nostro passato: le passeggiate nell’antica Velia, la scivolata nell’acqua del fiume Tusciano, la ricerca delle incisioni rupestri in Vall’Antrona, fino a tornare con la mente a qualche anno fa, ai 2495 metri del Monte Aquila, ad ammirare il massiccio del Gran Sasso, ripromettendomi che un giorno sarei arrivato alla sua cima.
Ricolmi di pietre, alla fine avevo formato un tumulo. Ricaricai gli zaini per proseguire a valle e, avviandomi, diedi l’ultimo sguardo verso loro.