di Rosario d’Andrea
Parto presto, di primo mattino, per ritornare su. Dall’hotel Melini di Pracchia, nel quale ho soggiornato, percorro la strada in direzione di Porretta. Il percorso l’ho già testato il giorno prima per programmare i tempi di arrivo. Il cartello stradale indica la distanza: 4 km. Pochi passi dopo la curva cerco il bastone che ho realizzato dai rami tagliati e abbandonati sul ciglio della strada, che avevo lasciato lì dal giorno prima.
Perché sono qui, proprio ad Orsigna? Tutto è partito da Tiziano Terzani.
A un certo punto un auto mi ferma, chiedendomi dove sono diretto. Riconosco l’uomo alla guida, lo avevo già incontrato un anno prima, sempre da queste parti. Accetto il passaggio. Lui non mi riconosce ed io non accenno nulla di quel ricordo. Arrivati ad Orsigna mi lascia ad un incrocio, da dove posso raggiungere facilmente l’albergo.
Giunto a destinazione mi tocca aspettare, perché la camera non è ancora pronta. Nell’attesa, nella hall, mi guardo intorno. Una bacheca alla parete è colma di locandine, articoli e cartoline di Terzani. Ci sono anche foto di lui. Sulla mensola scorgo alcune vecchie edizioni dei suoi libri.
La camera è pronta. Sistemo le mie cose velocemente ed esco. Seguo subito un sentiero del CAI che si inoltra tra faggi e castagni, conducendomi fin Casa Moretto, di qui a Fonte della Gabelletta, fino ad arrivare al rifugio di Porta Franca, a 1580 m d’altitudine. Dunque faccio una deviazione in direzione di Case Cucciani ed entro nel sentiero di Terzani. Ed ecco che arrivo al punto che stavo cercando: L’albero con gli occhi. Mi si presenta all’improvviso, in un’apertura di folti cespugli che introducono a uno spazio in cui il grande faggio domina l’ambiente. È addobbato con bandiere tibetane e monili, lasciati lì da pellegrini del luogo. Tutt’attorno cumuli di pietra e rami formano piccole edicole che fanno di questo luogo una sorta di santuario spirituale. Un posto dedicato alla meditazione.
Ci sono delle persone che mangiano. Accenno a un saluto, mi metto in disparte e addento una mela. Resto solo a contemplare il silenzio, la veduta della valle e Orsigna immersa nel verde. Il sordo tonfo dei tuoni, in lontananza, mi avverte della necessità di tornare in albergo.
Lungo il tragitto di ritorno percorro una strada asfaltata, per riuscire a vedere la casa dove ha abitato Terzani. Una folta siepe copre l’abitazione. Andando avanti comincia a scorgersi la parte superiore e giunto dinnanzi scopro Folco, il figlio del grande scrittore, intento a sistemare parte della recinzione con altre persone. Penso che dovrei farmi notare, per cercare di scambiare qualche parola. Ma non lo faccio e mi lascio scorrere come l’acqua di un ruscello nel suo corso.
In un’altra occasione, ad Orsigna, mentre ero intento a leggere un libro di Terzani seduto su un muretto, mi passò davanti un auto con a bordo Angela Staude e Folco. Pensai di aver incontrato una parte importante della vita del grande scrittore.
Scendo giù per la strada. Si sentono ancora i tuoni ed io affretto il passo. Giunto alla locanda Molino di Berto, mi siedo e chiedo un tè caldo e una fetta di torta. Ascolto il canto dell’acqua, – non quello della pioggia, ancora non piove – quello del ruscello che scorre in prossimità della locanda e prendo appunti sul mio taccuino.
Tornato in albergo mi soffermo su una panca, che dà sui monti, a prendere l’ultimo sole leggendo un libro di Terzani. Dietro di me si siedono due ragazzi (avranno più o meno la mia età e non so perché mi ostino a definire ragazzo chi ha già quarant’anni!). Li riconosco, ci eravamo già incontrati presso L’albero con gli occhi. Passo la serata con loro, condividendo la cena. Daniele e Marzia arrivano da Roma, per conoscere – come me – i luoghi del grande scrittore.
Si fa tardi, è ora di andare a letto. Torno nella mia camera e mi ritrovo in compagnia di un ragno bello grosso. Lo accompagno alla finestra e penso che la notte sarà fredda per lui. Troverà un buco da qualche parte dove rifugiarsi, mi dico. Io torno alle mie letture, che mi accompagnano al sonno. Chiudo il libro, sulla copertina un augurio quanto mai opportuno: Buonanotte signor Lenin.