Scienza e mistero nella letteratura. Intervista a Giovanni Del Ponte
21/06/2015 blog

di Luca Onesti

 

Quest’anno ho seguito, scrivendo per un giornale, il Salone del Libro di Torino, che si è svolto dal 14 al 18 maggio 2015. Tra gli incontri che ho fatto, sicuramente uno dei più belli è stato quello con Giovanni Del Ponte.

Nato a Torino nel 1965, Giovanni Del Ponte è un appassionato di fumetti e di cinema (si è anche cimentato nella regia) e ha pubblicato già sette libri, i primi quattro romanzi editi dalla Sperling & Kupfer e poi riediti, insieme ai successivi tre, dalla De Agostini. Sei di essi vanno a comporre la serie de Gli Invisibili, una saga di romanzi fantastici e di avventura rivolta ai ragazzi.

Devo ammettere che se non lo avessi conosciuto di persona, probabilmente non avrei mai letto un libro di Giovanni Del Ponte, perché quando vado in libreria raramente mi fermo alla sezione della letteratura per ragazzi. Che invece, come mi ha detto giustamente Giovanni, è letteratura anche per ragazzi, non solo per ragazzi. Conoscendolo e intervistandolo quindi, ho dovuto ricredermi, e dopo le giornate movimentate al Salone ho iniziato a leggere il suo L’enigma di Gaia. L’intervista che vi propongo è solo una parte (quella che ho registrato) dei discorsi che ho fatto con questo scrittore che si interessa di scienza e filosofia, oltre che di letteratura. Abbiamo avuto il tempo di parlare di medicina ad esempio, e poi di seguire insieme una conferenza di Leonardo Caffo, un giovane filosofo siciliano che al Salone ha presentato Il bosco interiore, un libro che parte da H.D. Thoreau e dal suo Walden o la vita nei boschi per riflettere sulla società di oggi, sulle relazioni umane, il lavoro, le forme di partecipazione sociale e politica e il rispetto per l’ambiente.

E ancora, sempre grazie a Giovanni Del Ponte, ho potuto scoprire che due scienziati/musicisti, Alessandro Montanari e Gabriele Rossetti hanno creato, attraverso un programma informatico, una traduzione musicale della storia geologica della terra, incidendo Dance with the Earth, la prima opera di quella che hanno battezzato “geofonia”…

Ma non mi dilungo oltre e vi lascio all’intervista.

Sfogliando i tuoi libri, nella sezione che lo stand della De Agostini ti ha dedicato al Salone del libro, mi ha incuriosito molto L’enigma di Gaia. Forse perché parla della foresta amazzonica, e di un tema così importante oggi come quello dell’ecologia.

Poco fa, parlando di questo libro, mi dicevi che quello che successe alla scuola Diaz, a Genova, durante il g8 del 2001, ha ispirato una scena del libro. Cosa ha a che vedere la vicenda della Diaz con un romanzo per ragazzi?

Mi sono reso conto negli anni che dei libri per ragazzi e della letteratura fantastica, che è considerata ancora meno importante, non gliene importa tanto alla gente e quindi paradossalmente si può parlare anche di cose delicate, e si possono affrontare argomenti importanti.

Quello che accadde alla Diaz, durante il g8 di Genova del 2001, mi sconvolse così tanto che ho voluto riproporlo in una scena de L’enigma di Gaia, perché è un libro dove si mostra come sia importante la partecipazione individuale alle lotte in cui si crede e non ci si possa aspettare, purtroppo, l’aiuto anche da parte di un governo. Quello a cui tengono i miei personaggi è condurre una lotta non violenta, anche se poi loro vengono invece trattati in maniera violenta, come accadde anche a quei manifestanti del g8.

Ci introduci alla trama de L’enigma di Gaia?

Nel mio libro, uscito nel 2005, c’è una scena spettacolare che per molti versi ricorda Avatar di Cameron, per quanto il film sia uscito dopo, nel 2009. Cameron ha dichiarato di essersi ispirato, per i Na’vi, ai nativi della foresta amazzonica, e quindi è inevitabile che ci siano dei punti di incontro, perché questo libro, da poco oltre la metà in poi, è ambientato nella foresta amazzonica, in Colombia. Si incontrano i nativi, in particolare una popolazione che è a rischio perché c’è una corporazione segreta, composta di 5 o 6 individui, che detiene il controllo del petrolio di tutto il pianeta. Ed è quindi in grado di ricattare gli stessi stati. C’è Nemo, un cyber attivista che da anni cerca di scoprire chi siano queste persone e cerca di portare avanti la sua lotta non violenta per l’ambiente e per i popoli naturali, nonostante venga criminalizzato, venga fatto passare dai media come un terrorista, per togliergli la voce e cercare di eliminarlo fisicamente. Lui per difendersi tiene nascosta la sua identità, nessuno sa che aspetto abbia.

Ma torniamo alla scena di apertura, nel prologo: ci sono delle macchine enormi e fantascientifiche che avanzano abbattendo gli alberi della foresta amazzonica, sembra di assistere alla scena di Avatar e c’è il protagonista che cerca di proteggere l’albero sacro. A quel punto le macchine si fermano momentaneamente, perché c’è una catena umana composta di indios ma al centro ci sono due ragazzi bianchi, che, si scoprirà più tardi, fanno parte della “banda degli Invisibili”. Si fermano per evitare di uccidere dei bianchi, per non avere un ritorno mediatico negativo.

Cameron, in Avatar, è costretto come autore a cedere alla violenza: alla fine i Na’vi attaccano gli invasori, che sono i terrestri, con le armi che hanno, arco e frecce. Il pianeta stesso respinge l’invasione con tutta la violenza possibile, gli scaglia contro per esempio questi animali enormi. Cameron così si dà torto, in un certo senso. In Avatar c’è questo personaggio che salta in groppa a quell’animale alato sacro, perché dice: come faccio a convincere le persone che sono degno di essere ascoltato? Gli viene in mente che se riesce a domare l’animale sacro che nessuno è mai riuscito a domare, le persone riconosceranno la sua autorità. Questo è in contrasto con la spiritualità dei Na’vi, che non dominavano questi animali, ma cercavano di conviverci facendosi accettare. Invece lui gli salta in groppa e dice: ora sei mio.

Ovviamente Cameron ha fatto questo perché aveva bisogno di fare una scena finale spettacolare. Io ho avuto come autore questo stesso problema ma, essendomi posto l’obiettivo che i miei personaggi non avrebbero dovuto usare la violenza, ho cercato di risolverlo in un altro modo, che sarà il lettore a dire se è altrettanto spettacolare.

Negli ultimi anni c’è una maggiore coscienza ecologica in Italia e a livello internazionale. Quando è nata in te questa coscienza e come si è sviluppata con i libri che hai pubblicato?

Prima del 1999 io stesso non ero così sensibile nei confronti di questi temi. Fui incuriosito da un convegno che si tenne a Rio Maggiore nel 1999, intitolato Educazione all’ecologia globale. Per un futuro sostenibile. Assistere a questo convegno per me cambiò tutto, perché per la prima volta sentii parlare dell’“ipotesi Gaia” di James Lovelock.

Visto che ho un padre medico e un fratello cardiochirurgo, sono sempre cresciuto in una famiglia che aveva a che fare con la scienza, però non avevo mai sentito che in qualche modo la scienza potesse riguardarmi e parlarmi di cose che mi appassionassero. Invece per la prima volta, con questa ipotesi di Lovelock, poi diventata teoria, non solo scoprii che la scienza parlava di qualcosa che mi poteva interessare, ma addirittura mi entusiasmai, perché finalmente non mi sentivo più solo, mi sentivo parte degli altri. Non solo degli altri, dei miei simili, ma addirittura di tutta la biosfera e di tutti gli esseri, compresa la terra stessa. E cominciai a desiderare di raccontare un giorno una mia storia su questo. Ci arrivai poi nel 2005, passati 6 anni, è il tempo che ci volle per sviluppare una coscienza mia, individuale e consapevole tanto da poter creare un’opera letteraria.

Gli altri tuoi libri si ricollegano a questo tema?

Nei libri che ho scritto in seguito questo tema viene riproposto e ampliato. Nel libro successivo, Il paese del non ritorno, anch’esso della serie de Gli Invisibili, sono ritornato agli esseri umani. Il libro è una storia di zombie, ma gli zombie sono una metafora del modo in cui noi ci poniamo nei confronti del cosiddetto terzo e quarto mondo e degli immigrati.

Verso la fine del libro i miei personaggi riflettono su come noi stessi stiamo provando una sorta di disagio nelle nostre città, nella nostra società e si chiedono se questo disagio che stiamo percependo in questa parte di mondo cosiddetto avanzato, non possa dipendere dalla sofferenza che per troppo tempo abbiamo causato nei popoli che non possono beneficiare del nostro tenore di vita, e che del nostro modo di vivere devono subire le conseguenze, che sono l’innalzamento delle temperature, il buco nell’ozono ma anche i rifiuti tossici. Visto che siamo tutti collegati gli uni agli altri, che siamo tutti energia, come dice Einstein, forse non possiamo più chiamarcene fuori, perché anche se non lo vogliamo in qualche modo questa sofferenza ci sta raggiungendo, sia pure a livello inconscio.

Il libro successivo, La ragazza fantasma, approfondisce invece il discorso della non località della coscienza, basandosi soprattutto sulle ipotesi (non teorie, perché non sono accettate dalla comunità scientifica) di Rupert Sheldrake, che ha ipotizzato che la coscienza possa non risiedere all’interno del cervello e quindi della mente, come si crede nella comunità scientifica internazionale, ma risiedere al di fuori e quindi che il cervello sia una sorta di ricetrasmittente tra la coscienza che abita un corpo e un campo di informazione che sta al di fuori  dell’individuo, al quale attinge ogni individuo di una determinata specie. Ogni specie vivente avrebbe un suo campo di informazioni che eventualmente può anche interfacciarsi con i campi di informazione delle altre specie, come nel caso della telepatia dei cani con i padroni, che Sheldrake ha inteso dimostrare tramite diversi esperimenti. Telepatia che può presentarsi spesso anche nei gemelli, oltre che tra le persone che si amano profondamente.

Che cos’è per te la spiritualità e come si connette a quello che scrivi?

La definizione di spiritualità che più mi ha colpito è quella di Albert Einstein, la cito esattamente nel mio libro Acqua tagliente, che è un altro libro sull’ambiente:

“Ogni essere umano è parte di un insieme chiamato Universo. Egli sperimenta i suoi pensieri e i suoi sentimenti come qualche cosa di separato dal resto: una specie di illusione ottica della coscienza. Un’illusione che diventa una prigione. Il nostro compito deve essere quello di liberare noi stessi da questa prigione, allargando il nostro circolo di conoscenza e comprensione, sino ad includervi tutte le creature viventi e la natura intera nella sua bellezza”.

Siamo tutti parte di una sola cosa, di questo flusso di energia. È la definizione più alta e ampia che io abbia trovato di spiritualità.

C’è però un’altra affermazione – che ho anche messo in bocca ad uno dei personaggi di Acqua tagliente – di Fred Alan Wolf, un divulgatore che è un fisico quantistico diventato famoso in America con il nome di “dottor Quantum”. Lui dice:

“Porti Grandi Domande (con la “G” e la “D” maiuscole) ti apre a nuovi modi possibili di esistere nel mondo. Inspiri aria fresca. Ti rende la vita più gioiosa. Perché il vero trucco nella vita non è conoscere le risposte a queste Domande,il vero trucco nella vita è vivere nel mistero.”

E questa per me è la chiave di Acqua tagliente, che è un libro di mistero, parla del diluvio universale, come e quando sia iniziato, ma è soprattutto un libro che riflette sul mistero e sul perché io senta il bisogno di scrivere storie di mistero. Chi è interessato alle storie del mistero, elemento che può attraversare i generi in maniera trasversale, può appassionarsi ai gialli, agli horror… ma, secondo me, cerca il mistero perché sta già compiendo un percorso di crescita spirituale, di cui forse non è nemmeno consapevole. Affacciarci su qualcosa di misterioso, sotto forma di metafora, può agevolarci in questo percorso.

Ultima domanda: hai scritto già diversi libri per ragazzi e per adolescenti, tutti di grande successo. Hai iniziato a scrivere per ragazzi, hai sempre scritto solo libri per ragazzi e perché?

Perché mi vengono in mente delle storie adatte anche ai ragazzi. I libri per adulti non sempre vanno bene per ragazzi. Quelli per ragazzi invece sono sempre anche per adulti. Non so perché ho iniziato a scrivere libri per ragazzi, ci vorrebbe probabilmente uno psicologo per capirlo. Probabilmente è perché mi piacciono le storie di formazione. Perché sento di stare facendo un percorso di formazione che ritrovo, e alla fine scrivendo rifletto su me stesso. Mi rifaccio a grandi romanzi di formazione come Il buio oltre e la siepe, ma anche a It e Il Corpo di Stephen King, da cui è tratto il film Stand by me. Nel film è citata solo una frase dell’incipit de Il Corpo, ma quell’incipit in particolare consiglio a tutti di leggerlo, perché è davvero molto bello.

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