Thomas Mann e l’imprevedibilità del disordine
12/09/2015 blog

di Amelia Ippolito

La chiave di lettura dello spirito di Thomas Mann sembra tutta stare in un commento di Luigi Giussani: «…uno può essere calcolatore proprio all’infinitesimo grado di un suo equilibrio, di una sua sanità, e di un suo gusto, ma non può impedire che presto o tardi, in qualche modo, un fattore non previsto scompagini tutto il suo ordine e lo rovini.»

È questa la novità che porta oggi a ciascuno di noi la storia del Piccolo signor Friedemman, ma anche le altre novelle di Mann; questa “novità imprevista” in una società dove tutto sembra calcolato, organizzato, dove la ragione stessa è ridotta ad una misura esatta e razionale, dove lo spirito stesso deve rientrare in uno schema prefissato per essere incasellato, analizzato, vivisezionato!

E invece ecco l’imprevisto, ecco l’accadimento che irrompe sempre nella letteratura di Thomas Mann come, del resto, nella dinamica della realtà in cui spesso siamo immersi con distrazione…

Ecco invece un particolare che sorprende: l’imprevisto che sconvolge i nostri piani.

Accade proprio questo in  La morte a Venezia, nell’incontro con il giovane Tadzio che sconvolge la quieta agonia dello scrittore Gustav Von Ascenbach (alter ego di Mann) ormai alla deriva dei suoi ultimi giorni, eppure ancora preso dalla catarsi della sua visione del dio greco dove si nascondono, in fondo, le antiche pulsioni nascoste di Thomas Mann.

Accade l’imprevisto, quel particolare non deciso da noi, quello stupore del cuore che sconvolge anche il piccolo Friedemman, rassegnato ormai a una vita di solitudine senza finestre aperte sul mondo, eppure accade qui l’incontro con Gerda e quell’imprevisto che scompagina la sua chiusura: che cambia i suoi piani ferendolo per sempre.

Tutto questo ci torna utile per capire l’universo di Mann dove la malattia e la sanità hanno sempre doppia valenza: la decadenza fisica è anche opportunità di vita spirituale, è la possibilità che si contrappone alla vita robusta ed energica che è insieme affermazione rozza dell’egoismo, di quella ottusa meschinità dell’uomo “sano” e mai del tutto veramente “ risanato.”

La malattia fa allora da filo rosso nell’opera di Mann, come nella Montagna incantata: quanti incontri in quel sanatorio dove la vita sembra sempre un confine labile che sfugge di mano!

La stessa deformazione del signor Friedemann e la sua anima fragile è ulteriormente ferita da un innamoramento non corrisposto; questo innamoramento del cuore che è forse visto dallo stesso Mann come un malanno dell’anima, ma è questo malanno, questo imprevisto che paradossalmente rende vivibile la vita e amabile l’amore, poiché ogni amore ferito è pur sempre una forma di vita contrapposta a quel vitalismo cieco a cui ci conduce questo mondo pieno di vuoto.

Il mondo dunque, è per Mann sempre, continuamente fondato sulla legge della contraddizione, delle polarità opposte in una prospettiva diacronica dove si contrappongono una miriade di personaggi feriti dal dubbio, dalla sfiducia, compromessi dalla malattia o morbosamente attratti dall’arte e dalla musica, eppure aperti al disordine e all’ imprevisto, allo stupore che spesso snoda la loro vita per intrecciarla con altre.

I Buddenbroock, il romanzo forse più riuscito di Mann, illustra invece un realismo quasi riconciliato con il simbolismo delle sue letture di Jung e la vitalità sembra far pace con la malattia estetizzante di questa galleria di uomini soli; è allora la “metafisica della salvezza” a toccare questi personaggi feriti, malati o decaduti quando questi stessi uomini si aprono allo stupore, oltrepassando lo scandalo del proprio immenso dolore; un frammento di luce entra così anche nel buio borghese di questi personaggi delusi che però, non smettono mai, fino in fondo, di sentirsi cittadini della loro vita.

Thomas Mann ha il merito di partire sempre da sé, dalla sua umanità ferita, malata, ma mai annientata del tutto, malgrado Nietzsche e nonostante quel dolce nichilismo in cui ogni scrittore autodidatta e solitario tende ad inabissarsi. Per il piccolo signor Friedemann, il piccolo gobbo, sembra non ci sia redenzione, eppure la novella è archetipica dello stesso universo di Mann, poiché contiene quelle antinomie di cui è composto ogni uomo e che può diventare la sua ricchezza più nascosta.

“Friedemann”, già il nome sembra suggerire una condizione umana: uomo di pace.

Ma più che di pace, ci sembra di rassegnazione in quel mondo ovattato dove questo personaggio vive e dove un giorno gli farà visita il destino; allora, anche la rassegnazione sarà come salvata da sé stessa, per diventare stupore dinanzi ad un amore che ferisce e anche se la disperazione dell’atto finale si farà spazio nel cuore del piccolo gobbo, vogliamo credere in un suo segreto sorriso di pace nell’ultimo istante del suo ultimo giorno che a noi non è stato dato di vedere, ma solo d’intuire.

Anche in questo racconto si può scorgere la speranza di chi sa ancora “farsi sconvolgere” e “coinvolgere” da un imprevisto, da un incontro improbabile pronto a scompigliare i nostri soliti, ordinari e consueti progetti di vita.

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Comment da Virginia - 17 settembre 2015 alle 21:25

Thomas Mann, penso sia uno dei più grandi narratori di tutti i tempi, è certamente il mio preferito. Ho letto quasi tutta la sua opera, forse tutta, Morte a Venezia, Faust e i Buddenbrook (anche la Montagna incantata, è un capolavoro..), restano per me dei capisaldi della letteratura mondiale.