di Amelia Ippolito
Husserl ha tentato nella sua ricerca gnoseologica ed esistenziale una meditazione che mettesse in luce, con un metodo descrittivo , i nuclei essenziali della genesi di un pensiero non privo di contraddizioni e aporie.
Per collegarci al pensiero della sua assistente Edith Stein e ai suoi scritti, in particolar modo “Introduzione alla filosofia” e “Psicologia e scienze dello spirito”, è fondamentale non separare il lavoro della Stein dalla genesi del testo husserliano e alle relative vicende legate alla pubblicazione di Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. [1] Infatti, i tre volumi di cui è composto il testo, indicano un percorso mai lineare, sia sul piano cronologico che personale e che aprono la strada e una complessa ramificazione all’interno del circolo di Gottinga, da dove emergerà la poliedrica personalità della fenomenologa Stein e del suo personalissimo percorso formativo.
Si aprono così due ordini di problemi:
Questi due pilastri della ricerca husserliana, sono ripresi e accolti dalla Stein quasi in maniera aprioristica e danno il via alla ricerca sui fondamenti dell’atto empatico nella dissertazione di laurea della stessa Stein a partire dal 1917[2].
Fondamentale è l’accettazione di questi due elementi husserliani, poiché permettono a Edith Stein di non cedere ad un realismo ingenuo e stanno alla base del pensiero fenomelogico.
La struttura tematica del volume di Idee I pone in luce i nuclei delle meditazioni di Husserl già affrontate nelle Ricerche logiche, ma al di là dei facili luoghi comuni sull’epochè e sulla questione dell’idealismo, la specificità dell’atteggiamento fenomenologico è costituito dalla messa tra parentesi di quello che il maestro Husserl rivela essere “l’atteggiamento naturale” , per poi passare alla riduzione fenomenologica e ai così detti “ adombramenti” e “regioni ontologiche.”
L’atteggiamento naturale resta la prima vera operazione da attuare per un percorso metodologico e operativo della fenomenologia, intesa così non come esercizio astratto, ma come attività che si confronta con il senso delle cose mai astratte e identiche a se stesse e dunque sempre pronte a presentarsi nella varietà del loro senso, nelle circostanze della loro apprensione, nelle differenze delle loro specifiche qualità e dei loro adombramenti. Per Husserl possiamo conoscere solo per “adombramenti”, vale a dire che le cose si offrono a noi e il nostro sguardo deve come girare intorno ad esse. Ma sono queste stesse cose a stimolare il nostro sguardo con il loro darsi qualitativo, attivando in questo modo le nostre indagini ontologiche.
A questo serve la messa tra parentesi dell’atteggiamento naturale che bisogna attuare nella riduzione fenomenologica husserliana suggerita in Idee I. Senza questa azione del pensare comune, delle conoscenze precostituite e già formate e stimolate delle scuole scientifiche e filosofiche moderne, le cose stesse restano adombrate, oscurate dal nostro atteggiamento naturale.
In più, nella messa tra parentesi si dimostra come in questi atti non solo si dia un oggetto per l’io, rendendo così l’io stesso fenomeno, ma è l’io a essere come diretto su sé stesso e lo coglie quasi come ponendosi in una funzione “obiettivante.”
L’io viene così dimostrato in Idee I come attivo, cioè come “io posso” in quanto porta in sé la possibilità del trasformarsi. Qui Husserl fa un esempio legato all’arte (aprendo anche il campo dell’estetica esplorato da Teodor Lipps) suggerendo come di fronte ad un opera d’arte si possa, semplicemente, nell’immediatezza di un’ingenuità degustativa, provare piacere senza mai interrogarsi sui motivi di tale piacere (questo è il tipico atteggiamento di una visione naturale delle cose). Se ci si interroga, invece, si muta questo stesso atteggiamento e diviene “critico”, trasformando il piacere naturale in un atto teoretico, cioè, in un giudizio.
L’attività giudicativa, dice Husserl, è sempre connessa agli atti esperienziali e alla stratificazione di quelle componenti essenziali di cui sono costituiti; in Idee I si sfiora così un altro pilastro della fenomenologia e cioè il rapporto insito alla fenomenologia stessa di attività e passività, genesi e struttura, atto e sfondo.
In questa direzione Husserl vuole dare dimostrazione della inseparabilità genetica di attività e passività. Ogni atto trapassa in uno stato di passività che rinvia tuttavia all’attuazione originariamente attiva, spontanea. Una cosa estetica rinvia, in questo modo, sempre a un’attività estetica, poiché se parliamo di attività, spontaneità, è chiaro che una cosa non si offre mai al nostro sguardo puro, oggettivo, astrattamente, ma sempre in correlazione con un corpo e un corpo estetico in connessione con i nostri strati di senso dove dimostriamo la continua corrispondenza tra passività e attività in un intreccio sempre dinamico e in una connessione continua con gli strati di senso del mondo circostante.
La configurazione delle cose che mi stanno dianzi hanno, in questo modo, quasi un corrispondente e un riferimento con il mio corpo proprio (Leib) e la sua sensorialità; la Stein riprenderà questa tematica del corpo proprio come punto zero, punto di partenza per ogni atto empatico connesso con quella intersoggettività essenziale per l’incontro con l’estraneità del tu con cui entriamo in contatto e con il quale bisogna intrecciare un legame spirituale, cioè a statuto empatico.
Fin qui, invece, per Husserl in Idee I, il concetto di enteropatia serve solo per la costatazione di un mondo che sta al di fuori di noi, per la tematica dell’intersoggettività che funge solo da testimone del “mondo della vita” e sarà la Stein ad approfondire questo incontro con l’alterità, indagando così i tre atti principali della conoscenza empatica.[3]
(segue…)
[1] Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Volune I, a cura di Vincenzo Costa, Edizione Biblioteca Einaudi, 2002.
[2] Edith Stein, Il problema dell’empatia, a cura di Angela Ales Bello, Elio Costantini e Erika Schulze Costantini, Ed. Studium-Roma, 2014.
[3] Fenomenologia dello Stato in Edith Stein.