Tullio De Mauro e il signor Mondadori. Anatomia di un disastro
05/07/2015 blog

di Giuseppe Avigliano

Il Premio Strega si è da poco concluso, ma le polemiche che lo contraddistinguono non accennano a diminuire. È un bene che abbia vinto Nicola Lagioia, scrittore meritevole, intellettuale fine e uomo importante dell’editoria indipendente italiana (notevole il suo contributo ad una delle realtà editoriali più belle d’Italia, Minimum Fax). È meno bene, invece, che, al tempo stesso, a vincere sia stata Einaudi – e quindi il gruppo Mondadori.

Dal 2000 ad oggi sono stati assegnati sedici premi Strega. Dieci se li è aggiudicati il gruppo Mondadori, quattro RCS e due Feltrinelli. Quando a vincere non è stata Mondadori, il più delle volte, la mancata vittoria non è scaturita da una sana competizione, ma dalla scelta esplicita dell’editore milanese a non rincorrere la vittoria – si veda il caso del 2013, quando vinse Walter Siti con Resistere non serve a niente edito da Rizzoli.

In quell’occasione né Mondadori né Einaudi parteciparono al Premio, delegando la partecipazione all’editore Piemme, ruota di scorta del gruppo di Segrate, caratterizzato da una produzione di titoli perlopiù rosa o comunque di non grosse pretese letterarie.

La domanda sorge spontanea: davvero la migliore produzione letteraria italiana è appannaggio di due soli gruppi editoriali? (Anzi uno e mezzo, visti i rapporti di forza presenti e futuri)

È la stessa domanda che dovrebbe porsi lo stimatissimo Tullio De Mauro, che si rivela, però, un controllore cieco e pigro di fronte alle logiche perverse del Premio che presiede.

Ben vengano allora gli interventi polemici di Roberto Saviano e l’invito al voto rivelato di Francesco Piccolo. Non si tratta di purificare il premio da chissà quale mafia, né di rendere social e pubblico il voto dei giurati – che in quanto tali hanno comunque diritto a uno spazio discrezionale di riservatezza.

Durante la serata finale, in diretta su RaiTre, una giornalista si è avvicinata al tavolo Mondadori, intervistando un responsabile della casa editrice. A quanto pare tutti sono dediti alla polemica nella cornice del Ninfeo, anche i vincitori. Non mi piace il sistema di conteggio dei voti; preferisco quello vecchio in cui si scrutinavano le schede una ad una con l’aggiornamento della lavagna voto per voto.  Più o meno questa è stata l’osservazione, sigillata da una improbabile chiusa: Ma non lo so se si può dire. Lo posso dire?

Sì, signor Mondadori. Lo può dire. È piuttosto significativo che sia proprio Lei a denunciare la privazione del premio di una prassi simil-romantica, come lo scrutinio lento e arcaico delle schede singole. È singolare che sia proprio Lei, maestro di pragmatismo e cinismo nel procurare voti ai suoi libri, a postillare la nuova modalità di scrutinio, ad ergersi a Don Chisciotte dell’editoria lenta e sana.

A fine serata, Concita de Gregorio intervistando Tullio de Mauro, ha chiesto se c’era un libro che più degli altri gli piaceva, anche fra quelli eliminati. De Mauro è sembrato per un momento smarrito – troppo preso dai fumi della polemica con Saviano? -. Poi ha speso qualche parola sulla ricerca linguistica del libro di Capossela, più su invito della De Gregorio che per sue iniziativa.

Semi-finalisti che avrebbero meritato la finale

La verità è che fra i dodici semi-finalisti non presenti in finale ci sarebbero da spendere molte parole. Lode a Capossela, che col suo Il paese dei coppoloni ha consegnato un’opera preziosissima, che è uno scrigno di ricerca letteraria, studi linguistici e sociologia di luoghi e tempi accantonati dal Progresso.

Non si può, poi, non citare Paolo Zardi. XXI secolo è il vero vincitore dell’edizione 2015, per due motivi:

  • la straordinaria qualità letteraria del libro, che meglio di chiunque altro ha saputo incarnare la lezione della letteratura post-apocalittica rimodulandola in una dimensione del tutto nuova, calandola nella realtà provinciale, creando una connessione inedita e magistrale tra i fattori esterni e moti interni, quelli del protagonista.
  • Il coraggio e la passione di una piccola casa editrice, Neo. Avere in mano uno dei loro libri, consultare il loro catalogo, fa venir voglia di sovvertire tutti i discorsi pessimisti sullo stato dell’editoria e il mercato dei libri in Italia.

Infine il libro di Wanda Marasco, Il genio dell’abbandono edito da Neri Pozza (altro editore eccellente) merita una menzione di merito per la ricostruzione storica e la forte ispirazione che sorregge tutto l’impianto romanzesco fra biografia e racconto del più noto scultore napoletano, Vincenzo Gemito.

Finalisti senza grandi meriti

Chi manda le onde (Mondadori) di Fabio Genovesi e La sposa (Bompiani) di Mauro Covacich occupano due dei cinque posti finalisti pur non rappresentando né un’eccellenza letteraria, né un fenomeno editoriale. Il primo è un polpettone di 389 pagine, enormemente sopravvalutato. Il secondo è la tentazione della letteratura alta, che si confronta col genere impervio del racconto. L’ispirazione e la scrittura reggono il gioco. Ma manca una visione d’insieme definitiva: il libro va declinato per argomenti e si rassegna al fallimento del farsi universo già a metà delle pagine.

Caro Professor De Mauro, il Premio Strega 2015 è l’ennesima occasione mancata. Non hai offerto alla vivacità dell’editoria italiana il giusto palcoscenico. Se qualche passo avanti è stato fatto, al contempo ne sono stati fatti altri all’indietro.

Caro sig. Mondadori, che ami lo scrutinio lento: l’anno prossimo lascia ai giurati la lentezza dell’indecisione. Non importa quanto velocemente siano letti i risultati: importa – anzi è di vitale importanza – che a vincere sia la Letteratura.

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